
Bonellidi: guida confidenziale per collezionisti curiosi
Se bazzichi fiere, mercatini o gruppi Facebook di fumetti, prima o poi sentirai la parola bonellide. Non stiamo parlando dei Tex o dei Dylan Dog, ma di quei fumetti che imitano il formato Bonelli. La tavola bonelliana di base molto rigida, con codifiche ben precise ha un formato di 16×21 cm e la tavola viene divisa in 3 strisce orizzontali, che a loro volta possono essere divise a metà verticalmente, così da ottenere un massimo di 6 vignette. Gli albi sono costituiti da 96 pagine, in bianco e nero anche se ultimamente c’è stato qualche esperimento con il colore. Il tipo di legatura è sempre la brossura.
Insomma albi che provano a cavalcare in edicola il successo Bonelli, ma con storie, mondi e personaggi originali.
Un po’ di storia (senza annoiarti troppo)
Il formato Bonelli (16×21 cm) nasce alla fine degli anni ’50 rimontando le tavole degli albi a striscia, a partire da Tex. Già nei primi anni Cinquanta l’editrice Audace aveva sperimentato altri formati: l’Albo d’Oro (1952), la prima serie di Tex Gigante (1954) e, dal 1958, l’attuale collana Tex Gigante con 160 pagine a 200 lire. Col tempo le pagine diminuirono, ma il prezzo rimase stabile per oltre dieci anni.
Il successo spinse i Bonelli ad adottare il formato anche per altre serie a striscia come Zagor, Il Piccolo Ranger e Un Ragazzo nel Far West. Alcuni titoli, invece, esordirono direttamente in formato verticale, tra cui Il Comandante Mark (1966) e La Storia del West (1967). Le storie erano pensate per il nuovo formato, ma i disegnatori mantennero la classica suddivisione in tre strisce per facilitare la lettura, pur concedendosi a volte maggiori libertà grafiche. Il formato standard si consolidò nelle 96 pagine in bianco e nero con copertina in cartoncino, restando sostanzialmente invariato fino a oggi.
Negli anni ’70, quando Tex dominava le edicole, molti provarono a imitarlo: titoli western “alla Bonelli” che oggi fanno sorridere ma che all’epoca segnarono l’inizio del fenomeno. Non cera casa editrice che avesse una o più serie nel classico formato “bonelliano”
- JESUS (25 numeri Geis)
- CARABINA SLIM (19 numeri ed. V.A.)
- COYOTE Lupo Bianco (15 numeri Geis)
- KOKO (10 numeri Geis)
- MASCHERA NERA (42 numeri unico bonellide dell’editrice Corno)
giusto per citarne alcune testate, lasciando fuori le millemila edizioni “romane” o “milanesi”. Il fenomeno continua negli anni ’90 con Lazarus Ledd della Star Comics e a ruota tanti altri tentativi, (Gordon Link, Demon Hunter, Balboa…). Per arrivare agli anni 2000 con John Doe che con i suoi 100 numeri arriverà ad insidiare a Lazarus Ledd il titolo di bonellide più longevo di sempre.
Mentre oggi l’horror di Samuel Stern dimostra che il formato è vivo e vegeto, i suoi autori pur mantenendo il classico formato bonelliano, iniziano a sperimentare una tavola meno “quadrata” e ingabbiata nelle classiche 6 vignette per pagina.
Altri bonellidi da mettere in lista
- 2700
- Arkhain
- Bad Moon
- Balboa (poi dal n° 67 Ronny Ross)
- Billiband
- Black Jack
- Cobra
- Cornelio
- Dagon
- David Murphy 911
- Demon Hunter
- Demon Story
- Detective Dante
- Dick Damon
- Dick Drago
- Dr. Morgue
- Elton Cop
- Engaso2200
- ESP
- Factor-V
- Fullmoon Project
- Goccianera
- Gordon Link
- Hammer
- Harry Moon
- Ironheart
- Kevin Rako
- Kirbi Flint
- Jesus
- John Doe
- L’Insonne
- Max Living
- Morgan
- Nemrod
- Nick Turbine
- Pinkerton S.A.
- PT7
- Radairk
- Rourke
- Samuel Sand
- San Michele
- The secret
- Trigger
- Valter Buio
Perché amarli
I bonellidi sono fumetti “popolari” nel senso migliore: accessibili, diretti, a volte ingenui ma sempre pieni di passione.
Sono la testimonianza che non solo Bonelli poteva reggere quel formato. E oggi, rileggendoli o collezionandoli, ci si accorge che sono anche uno spaccato storico del fumetto italiano fuori dai grandi riflettori.
