Dolce Vita: il fumetto d’autore tra sperimentazione e contaminazione

Nel panorama editoriale italiano degli anni ’80, la rivista a fumetti Dolce Vita è capace di fondere fumetto d’autore, letteratura e arti visive in un progetto editoriale di grande eleganza e sperimentazione.

Nel panorama editoriale italiano degli anni Ottanta, la rivista Dolce Vita rappresenta un esperimento coraggioso e raffinato. Lanciata nel 1987 e pubblicata da Gedit, questa rivista mensile di grande formato (29 x 43 cm) nasce dalla mente di tre protagonisti della scena culturale e fumettistica dell’epoca: Igort, Daniele Brolli e Paolo Cesari. Non è un caso che molti degli autori coinvolti arrivino dall’esperienza della rivista Valvoline Motorcomics, collettivo che aveva già segnato una svolta nel linguaggio e nell’estetica del fumetto italiano. Alla direzione della rivista, figura autorevole e di grande carisma intellettuale: Oreste del Buono.

Pur dedicando solo una parte del suo spazio al fumetto, circa 20 delle 64 pagine totali. la rivista Dolce Vita si distingue per una selezione di altissimo profilo, dove la narrazione disegnata non è solo intrattenimento, ma diventa terreno di ricerca visiva e narrativa. Le storie pubblicate non seguono schemi convenzionali, ma cercano nuove sintassi, forme ibride, dialoghi tra parola e immagine che vanno oltre la definizione classica di “fumetto”.

Uno degli esempi più emblematici di questa ricerca è il fumetto Fuori gioco, collaborazione tra il celebre sceneggiatore belga Cauvin e l’artista visionario Enki Bilal. Un’opera in cui l’illustrazione acquista forza autonoma, evocando atmosfere sospese, quasi cinematografiche, che affondano le radici nel clima postmoderno di fine millennio. Un altro caso paradigmatico è la sezione in cui le poesie di Tonino Guerra sono accompagnate dalle illustrazioni di Lorenzo Mattotti: non fumetti in senso stretto, ma una nuova forma di dialogo tra parola e immagine, tra lirica e pittorico.

La rivista ha anche il merito di presentare per la prima volta Le femmine incantate di Magnus, autentico capolavoro che segna una delle vette della maturità artistica del maestro bolognese. Magnus, con il suo tratto ossessivo e il gusto per l’eleganza barocca del disegno, costruisce un universo ipnotico, sensuale e insieme onirico, perfettamente in linea con lo spirito della rivista.

Accanto a queste opere di grande respiro, trovano spazio anche forme brevi e ironiche: è il caso delle strisce umoristiche di Francesca Ghermandi, che con il suo segno spigoloso e surreale contribuisce a una visione plurale e anticonvenzionale del fumetto.

Nonostante la breve durata – la pubblicazione si interromperà infatti con il numero 23 – la rivista ha saputo lasciare un’impronta duratura. È stata una palestra di sperimentazione, un laboratorio di contaminazioni artistiche, dove il fumetto ha potuto confrontarsi con la narrativa, la poesia, il giornalismo culturale. Tra i collaboratori, del resto, figuravano anche scrittori come Aldo Busi, la cui presenza confermava la vocazione trasversale del progetto.

Il lancio della rivista Dolce Vita si colloca in un momento di fervente rinnovamento per l’editoria fumettistica italiana. Gli anni Ottanta segnano una transizione cruciale: il fumetto esce progressivamente dal recinto dell’intrattenimento infantile per affermarsi come linguaggio maturo, capace di affrontare temi complessi e dialogare con altre forme artistiche. In questo fermento si inseriscono riviste fondamentali come Frigidaire, (successivamente Cyborg, Nova Express) e naturalmente Valvoline Motorcomics, con cui Dolce Vita condivide non solo molti autori, ma anche una visione estetica e culturale. A differenza di Frigidaire, che tendeva verso il punk e la provocazione politica, Dolce Vita sceglie un tono più rarefatto e sofisticato, riflettendo una vocazione più letteraria e visiva, vicina alla grafica d’arte e al design editoriale. Il formato stesso, ampio e lussuoso, suggerisce un oggetto da collezione, più che da edicola. È in questo crocevia tra fumetto, arte visiva e cultura alta che la rivista trova il suo posto: come ponte tra la sperimentazione radicale degli anni Settanta e la futura affermazione della graphic novel autoriale degli anni Duemila.

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